
Stefania Brun
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Esiti esame Diritto e genere |
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Esami
martedì 19 aprile 2022
Diritto e Genere a.a. 2021/2022
Cari studenti ricordo che il voto conseguito andrà a fare media insieme alle altre “tranche” di esame sostenute od a sostenere con la prof.ssa Simonati e quindi è un esito parziale. Manca nell’elenco il voto di chi non ha indicato il numero di matricola: per conoscere l’esito scrivetemi una e-mail.
178136: 30 lode 188395: 30 lode 192286: 30 lode 194158: 30 lode 195072: 30 195479: 30 lode 200917: 26 200965: 30 201202: 30 202511: 28 203902: 30 210049: 30 lode 210204: 30 lode 210271: 30 210411: 30 211139: 29 213863: 27 231927: 26 |
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Esiti prova 12 gennaio 2022 Diritto del lavoro |
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Esami
venerdì 14 gennaio 2022
Esiti appello di esame del 12 gennaio Diritto del lavoro I voti indicati di seguito saranno inseriti nei prossimi giorni nel sistema Esse3: lo studente se intende accettare il voto dovrà seguire la consueta procedura di accettazione prevista dal sistema
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Esiti prove 16 dicembre u.s. |
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Esami
lunedì 20 dicembre 2021
Esiti prove diritto del lavoro 16 dicembre 2021 I voti presenti nell’elenco saranno inseriti entro domani su ESSE3. Lo studente che voglia accettare il voto dovrà farlo espressamente seguendo le modalità del sistema.
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Spostamento orario appello 16 dicembre - Inizio appello ore 13.20 |
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Esami
lunedì 13 dicembre 2021
Cari studenti, l'appello del 16 dicembre avrà inizio alle ore 13.20 circa a causa di una convocazione in via straordinaria, da parte del Preside, del Consiglio di Facoltà alle ore 11 che mi vedrà occupata almeno fino alle 13. A fini organizzativi, si chiede a TUTTI gli studenti iscritti all'appello (frequentanti e non frequentanti di segnalarmi via mail l'EFFETTIVA partecipazione all'esame) con una e-mail, entro mercoledì, ore 17.00. Infine, si ricorda a tutti gli studenti che la prova sarà scritta. Grazie |
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Esiti prova diritto del lavoro 9 dicembre 2021 |
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Esami
domenica 12 dicembre 2021
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Soluzione caso somministrato durante la prova del 9 dicembre u.s. |
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Esami
domenica 12 dicembre 2021
PROVA
In data 5 aprile 2016 l’impresa Paliettes s.n.c., che produce biancheria intima, installa una telecamera in un locale, posto subito dopo l’ingresso dell’edificio e antistante a quelli in cui si svolgono l’attività di produzione e amministrativa. Il locale in questione, cui può accedere, tramite apposito badge individuale, solo il personale, è così adibito a zona di “sosta” dei lavoratori prima dell’inizio e della fine dei turni di lavoro e durante le pause; inoltre, grazie alla presenza di alcuni armadietti contenitore e al clima di fiducia dovuto al fatto che nell’azienda lavorano solo 11 persone, nello stesso locale vengono spesso lasciati oggetti personali e aziendali come indumenti, cellulari etc. La telecamera viene installata dopo una serie di segnalazioni, effettuate al signor Leopoldo, titolare dell’azienda, nel corso del mese di marzo, da due dipendenti che lamentano di non aver trovato alcuni effetti personali, alla fine del turno di lavoro, all’interno dell’armadietto dove li avevano riposti appena entrati in azienda; un terzo dipendente lamenta invece la sparizione di due toner per la stampante collocata nel medesimo locale, dopo pochi giorni dal loro acquisto. Le immagini della telecamera riprendono nelle due settimane successive alla sua installazione, in due occasioni, Gervaso, un dipendente assunto nel 2013 con mansioni di autista, nell’atto di aprire gli armadietti e di prendere alcuni oggetti contenuti negli stessi. Tali comportamenti sono posti in essere dal lavoratore in modo indisturbato atteso che per le sue mansioni lo stesso ha orari diversi e comunque maggiormente flessibili rispetto a quelli degli impiegati e degli operai dell’azienda e quindi ha modo di accedere al locale in momenti in cui non c’è nessuno. Scoperti tali fatti l’impresa avvia, dopo 12 giorni dalla scoperta del secondo episodio, la procedura preventiva di contestazione disciplinare prevista dall’art. 7 St. Lav. durante la quale Gervaso presenta una difesa scritta nella quale contesta che la telecamera è stata installata in contrasto con le disposizioni contenute nell’art. 4, primo comma, St. Lav. - e in particolare senza aver chiesto alcuna autorizzazione - così da rendere inutilizzabili le immagini acquisite dall’azienda.
Al termine della procedura Gervaso viene comunque licenziato per giusta causa.
Il caso sottoposto chiama in causa essenzialmente due istituti: in primo luogo, il licenziamento disciplinare, in particolare per giusta causa, ossia fondato, ex art. 2119 c.c. su una “mancanza talmente grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro”; in secondo luogo, il potere di controllo del datore di lavoro, disciplinato dall’art. 4, St. Lav., così come modificato ad opera del d.lgs. n. 151 del 2015. A quest’ultimo riguardo è utile rammentare sin d’ora come il primo comma di tale norma disponga che gli “impianti audiovisivi” e gli “altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori” possono essere impiegati in zienda esclusivamente “previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali” (e comunque “per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”). Sono invece utilizzabili in azienda, senza necessità di previa autorizzazione sindacale, gli strumenti, da cui possa derivare un controllo sui lavoratori, di cui al secondo comma, ossia quelli utilizzati “per rendere la prestazione”.
Ponendo attenzione alle particolarità del caso concreto si può affermare che i motivi che fanno propendere per la legittimità del licenziamento sono i seguenti.
Al riguardo occorre rilevare come - nonostante la telecamera installata sembri, di prima acchito, riconducibile agli strumenti di cui al primo comma dell’art. 4 St. Lav. (e quindi utilizzata illegittimamente in quanto l’impresa non ha acquisito la previa autorizzazione sindacale) – il caso sottoposto chiami in causa quella particolare modalità di controllo della prestazione di lavoro denominata “controlli difensivi”. Si tratta di una tipologia di controlli non contemplata dal legislatore, ma “creata” dalla giurisprudenza prima della riforma dell’art. 4 St. Lav. Nella versione originaria, in effetti, tale norma richiedeva una previa autorizzazione sindacale per l’installazione, richiesta da esigenze organizzative o di sicurezza, ma non da fini di tutela del patrimonio aziendale, di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature da cui potesse derivare anche il controllo a distanza dell’attività del lavoratore. Al rigido regime di tale norma si ritenevano sottratti i controlli (denominati “difensivi”, per l’appunto) che fossero:
1) necessari ai fini di tutela del patrimonio o dell’immagine aziendale;
2) attivati dinnanzi a fondati sospetti circa il compimento da parte del lavoratore di atti illeciti (sia durante l’orario di lavoro e sul luogo di lavoro sia durante i periodi di “quiescenza” della prestazione di lavoro);
3) posti in essere in modo occasionale e non lesivo della dignità del lavoratore (ad esempio evitando di riprenderlo all’interno di luoghi privati, come la propria abitazione).
Orbene, in giurisprudenza è dominante l’orientamento secondo cui la categoria dei controlli difensivi è sopravvisuta alla riforma dell’art. 4 St. Lav. (mentre secondo la dottrina maggioritaria tali controlli in quanto, come dianzi ricordato, funzionali alla tutela del patrimonio aziendale, devono oggi ritenersi assorbiti nel comma 1 della norma statutaria novellata, che a differenza della vecchia versione, contempla tra gli scopi del controllo anche la tutela del patrimonio aziendale). Ne consegue che il controllo effettuato attraverso la telecamera installata dall’azienda Paillettes sarà ritenuto, in un eventuale giudizio, e con alta probabilità, tale da avere tutte le caratteristiche previste affinché si possa parlare di controllo difensivo: la telecamera è stata installata a fronte di fondati sospetti circa il compimento all’interno dell’azienda di fatti illeciti (furti, in particolare) e quindi a tutela del patrimonio aziendale; inoltre, la stessa telecamera non è suscettibile di ricavare immagini lesive della dignità dei lavoratori in virtù del locale, “pubblico”, per così dire, in cui è posizionata.
2. Si indichino i principali motivi che, al contrario, potrebbero condurre, in un eventuale giudizio, ad una dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato a Gervaso
Il licenziamento potrebbe essere ritenuto illegittimo per due ordini di motivi.
1) Il giudice potrebbe anzitutto accogliere l’obiezione avanzata da Gervaso, secondo cui l’azienda avrebbe potuto installare legittimamente la telecamera solo dopo aver chiesto ed ottenuto l’autorizzazione sindacale di cui all’art. 4, primo comma, St. Lav. Al riguardo occorre però sottolineare come si tratti di un esito giudiziale piuttosto improbabile in quanto, come detto poc’anzi, presuppone di aderire all’orientamento, per ora non abbracciato in giurisprudenza, secondo cui dopo la riforma del 2015 i c.d. controlli difensivi (tra cui ricade sicuramente quello posto in essere dall’impresa Paillettes) risultano “assorbiti” nel primo comma dell’art. 4 novellato e quindi tali da richiedere la previa autorizzazione sindacale alla loro effettuazione.
2) Maggiormente fondato appare invece il motivo di illegittimità del licenziamento che potrebbe essere speso in giudizio relativo alla violazione del principio di immediatezza/tempestività della contestazione disciplinare ex art. 7 St. lav.; al riguardo occorre ricordare come tale principio sia di elaborazione giurisprudenziale e consista nel fatto che l’impresa non deve lasciar passare tra la scoperta del fatto a rilievo disciplinare e la contestazione per iscritto dello stesso al lavoratore più del tempo ragionevolmente necessario. Al riguardo, resta la difficoltà di comprendere di volta in volta quale possa considerarsi un tempo “ragionevole” per contestare i fatti. Nel caso concreto l’impresa lascia passare 12 giorni dalla scoperta del secondo episodio di furto prima di procedere alla contestazione dell’addebito: si tratta di un lasso temporale quantomeno sospetto (anche se certamente non esagerato) in quanto dinnanzi a fatti di particolare disvalore e tali da integrare addirittura una giusta causa di licenziamento, occorrebbe, forse, procedere in modo più celere. Si può quindi sostenere che Gervaso ha buone possibilità di convincere il giudice ad addivenire ad una dichiarazione di illegittimità del licenziaemnto fondata sulla violazione del principio di immediatezza/tempestività.
3. Se il giudice dovesse ritenere illegittimo il licenziamento, cosa potrebbe ottenere Gervaso all’esito del giudizio?
Con riguardo alle tutele accordabile dal giudice a Gervaso, nel caso in cui il primo dovesse dichiarare in qualche guisa illegittimo il licenziamento intimato al secondo, occorre sottolineare come le stesse andranno rintracciate nell’art. 8 l. n. 604 del 1966 ossia la norma che prevede la sanzione comminabile per tutti i vizi (sostanziali e/o procedurali-formali) del licenziamento intimato al lavoratore assunto entro la data del 6 marzo 2015 da un’impresa qualificabile, ai sensi dell’art. 18, comma 8, St. lav., come di “piccole” dimensioni (ossia che abbia fino a 15 dipendenti nell’unità produttiva o, alternativamente, fino a 15 dipendenti sommando le persone impiegate in più unità produttive site nello stesso territorio comunale o fino a 60 dipendenti nel complesso). In effetti nel caso concreto Gervaso è stato assunto nel 2013 e l’impresa Paillettes, avendo un organico di 11 dipendenti nel complesso, è qualificabile come di piccole dimensioni. Tale sanzione consiste, a scelta dell’impresa, nella riassunzione del lavoratore o in un’indennità risarcitoria che il giudice potrà quantificare tra le 2,5 e le 6 mensilità di retribuzione. A fini di completezza è utile ricordare, conclusivamente come in effetti gli altri apparati sanzionatori previsti nell’ordinamento siano applicabili a casi diversi: quello contemplato nell’art. 18 St. lav., novellato ad opera della l.n. 92 del 2012, si applica ai licenziamenti di lavoratori assunti entro il 6 marzo 2015, ma da un’impresa di “grandi” dimensioni ai sensi del comma 8 dello stesso art. 18; mentre l’impianto sanzionatorio introdotto con il d.lgs. n. 23 del 2015 (c.d. jobs act) si applica ai licenziamenti di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi (a prescindere dalle dimensioni, “grandi” o “piccole”, dell’impresa licenziante).
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Casi 7 e 8 in materia di licenziamento |
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Lezioni
venerdì 26 novembre 2021
Caso 7
Nel febbbraio del 2020 Frida viene licenziata dalla propria datrice di lavoro che ha alle proprie dipendenze altre 17 persone e che l’ha assunta circa sette anni prima (precisamente ad aprile del 2013); nella lettera con cui le viene comunicato il licenziamento, si afferma che i motivi dello stesso risiedono in “ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro ai sensi dell’art. 3, seconda parte, l. n. 604 del 1966”. Con riguardo alle circostanze riportate, cosa si potrebbe contestare all’azienda e, di conseguenza, quale tutela potrebbe essere accordata in un eventuale giudizio a Frida?
Caso 8
Ludmilla, assunta nell’aprile del 2013, con mansioni di impiegata presso un’impresa, che conta un organico di 13 dipendenti, si reca per tre ore, nella sera di martedì 18 febbraio 2020, presso il ristorante di cui è titolare Vinicio, suo fidanzato, mentre è in corso l’ultimo giorno di malattia (cominciata sei giorni prima) per una tendinite alla mano. Nel ristorante Ludmilla si occupa per tutta la sera di attività quali l’accompagnamento ai tavoli dei clienti, il loro “intrattenimento” in attesa delle portate ordinate e l’organizzazione logistica dei tavoli. Il giorno dopo si presenta regolarmente al lavoro, in quanto il dolore e il gonfiore alla mano sono completamente scomparsi. Due giorni dopo il datore di lavoro di Ludmilla, appresi i relativi fatti da un suo amico, assiduo frequentatore del ristorante di Vinicio, contesta per iscritto alla lavoratrice di aver svolto durante la malattia un’attività che poteva potenzialmente aggravare la “patologia” da cui era affetta e, conseguentemente, ritardare la ripresa del lavoro. Espletata la procedura di confronto ex art. 7 St. Lav., la lavoratrice viene licenziata per giusta causa, con richiamo, nella lettera di licenziamento, alla clausola del contratto collettivo applicato dal suo datore di lavoro che contempla tra le ragioni integranti giusta causa “l’aver svolto durante la malattia attività pregiudizievoli ad una pronta guarigione e/o tali da far presupporre la simulazione della malattia stessa”. In un eventuale giudizio Ludmilla ha buone probabilità di veder riconosciuta l’illegittimità del licenziamento intimatole? E se così fosse quali tutele potrebbe ottenere in giudizio? |
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Nuovo programma di studio di Flexicurity, tutele e mercato del lavoro |
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Esami
martedì 07 luglio 2020
A partire dall'appello di settembre 2020 (compreso) per gli studenti che volessero sostenere l'esame Flexicurity, tutele e mercato del lavoro il materiale di studio è quello di seguito indicato: Stefania Brun, Il rapporto di lavoro subordinato. Percorsi di lettura e casi scelti, Cedam, 2020 limitatamente alle seguenti parti: p. 3-30 p. 44-62 p. 236-339 (Esercitazioni pratiche): p. 343-359 p. 366 - 375 p. 444- 474 Si precisa inoltre, per evitare inutili richieste via mail, l'accesso alle lezioni caricate sulla piattaforma moodle nel corso del secondo semestre 2019-2020 non è più possibile e deve intedersi riservato a coloro che hanno regolarmente frequentato durante il semestre in questione. |